Hai mai sentito parlare di Curriculum Vitae anonimo? - Etjca

Hai mai sentito parlare di Curriculum Vitae anonimo?

12 Apr Hai mai sentito parlare di Curriculum Vitae anonimo?

Pubblicato alle 00:00 in Candidati da Etjca

Parliamo in questo caso di una tendenza che sta spopolando nei paesi del nord Europa, tanto che la candidatura dall’autore sconosciuto si sta trasformando in quella preferenziale in nazioni come ad esempio la Finlandia.

La motivazione? Pare sia uno strumento adeguato per rendere la ricerca di lavoro e la selezione dei candidati una missione più oggettiva.

Ma vediamo insieme da dove nasce.

Il progetto ha preso vita in maniera operativa a Helsinki, nella primavera del 2020, quando il responsabile del personale del comune finlandese Yle Aino Lääkkölä-Pyykönen, si è posto la domanda su quali fossero le motivazioni che ci portano ad assumere un talento piuttosto che un altro. Ha trovato come risposta canoni per lo più soggettivi: l’età, il sesso, la provenienza geografica o anche l’aspetto estetico; e dunque ha deciso di intervenire introducendo il Curriculum Vitae anonimo.

Il progetto avrebbe dovuto avere durata annuale, ma è stato esteso a tutto il 2021.

Curriculum Anonimo: svolta o passo indietro?

Come spiegato nel nostro incipit l’obiettivo di questa iniziativa è principalmente uno: rendere la ricerca di lavoro e la selezione dei candidati una missione più oggettiva. Siamo infatti abituati a redigere (o, dall’altro punto di vista, a ricevere) Curriculum Vitae ricchi di informazioni non strettamente legate alle esperienze professionali: nome, sesso, età, residenza, foto, stato civile etc..

Ma questi dati servono davvero? E in che misura potrebbero essere fuorvianti?

Le opinioni sono contrastanti: c’è chi continua a ribadire l’importanza di tali indicazioni, anche in relazione alla tipologia di lavoro e di contratto che si vuole offrire.

Invece c’è chi, al contrario, le trova superflue perché ritiene che l’esperienza professionale e la formazione siano gli unici aspetti che contino realmente.

Assumere una donna o un uomo, di una nazionalità o di un’altra, appartenente ai Millenials, ai Baby Boomer o alla Generazione Z, può davvero rappresentare una variabile imprescindibile per un datore di lavoro?

La verità potrebbe stare a metà strada: in alcuni casi queste informazioni possono risultare utili, in altri meno.

Verrebbe inoltre da domandarsi fino a quando è possibile garantire una totale imparzialità. Passata una prima fase di selezione, tendenzialmente viene proposto un colloquio in presenza o via call, e in questa fase diventa molto complesso escludere alcune caratteristiche anagrafiche come il sesso o l’età e la famosa “prima impressione” che, in molti casi, può giocare un ruolo fondamentale.

Il giudizio in qualche modo fa parte della matura umana: la famosa “sensazione a pelle”, è una reazione che non sempre ha a che fare con dati oggettivi.

3 Strategie per mitigare il condizionamento spontaneo

La componente istintiva di ognuno di noi è difficile da reprimere, ma forse si possono ipotizzare delle metodologie per far sì che non inficino sul giudizio finale di un candidato.

Come?

1 – È possibile, per esempio, creare un percorso standard da sottoporre a tutti i candidati, slegato dall’anagrafica e fortemente improntato alla professione, seguendo linee guida ben definite e di carattere oggettivo;

2 – Si può immaginare di far svolgere colloquio a più di un recruiter, così da avere punti di vista diversi, frutto di esperienza di vita differenti;

4 – Un valore aggiunto può essere promuovere percorsi di formazione mirata: far prendere coscienza delle reazioni più squisitamente emotive può essere il primo passo verso una maggior oggettività nella selezione.

3 – In un prossimo futuro sarà forse possibile affidarsi a software di assunzione del tutto obiettivi, intelligenze artificiali che coniughino le necessità dell’azienda e le qualità del candidato;

I tentativi di Francia e Svizzera

Andando indietro nel tempo scopriamo che negli anni ’50 questa forma “anonima” era già stata sperimenta dalle grandi orchestre sinfoniche per la ricerca di nuovi strumentisti, volendo eliminare la discriminazione uomo/donna.

Le audizioni, infatti, avvenivano alla “cieca”, ovvero tra esecutore e giudice si poneva uno schermo oscurante.  Il risultato sapete qual è stato? L’aumento del 30% di probabilità di avere musicisti donna.

Il parlamento di Parigi, inoltre, a partire dal 2006, ha emanato alcune disposizioni per indirizzare le aziende con più di 50 dipendenti verso la selezione di personale in forma anonima.

La presa di posizione francese si basò su alcuni risultati che indicavano che in Francia, un nome straniero, l’essere in sovrappeso, l’essere donna e la provenienza da quartieri “problematici”, poteva costituire un ostacolo serio nel reclutamento. Il Curriculum vitae anonimo apparve dunque un primo passo verso l’uguaglianza “professionale”. In realtà l’esperimento ha avuto esiti contrastanti, con luci e ombre: secondo una analisi del 2017 del Centre de recherche en économie et statistiques (Crest), l’introduzione del curriculum anonimo avrebbe ridotto le possibilità di trovare lavoro per immigrati e classi sociali basse da 1 su 10 a 1 su 22.

Anche la Svizzera ha tentato di attuare l’iniziativa del Curriculum Anonimo: nel 2006 l’Azienda svizzera Migros attuò la pratica anonima per tre mesi. L’esperimento ebbe però breve durata poiché i responsabili delle risorse umane si arresero alle difficoltà burocratiche e amministrative presentate dalla novità


Curriculum vitae anonimo significa fine dei pregiudizi?

Sarebbe bello poter dare come risposta un chiaro e secco: “Sì”.

La verità è che questa innovazione è solo un primo passo. La rivoluzione vera e propria va fatta partire all’interno delle Aziende: non ha importanza rimuovere le discriminazioni all’inizio del percorso di selezione se poi vengono ammesse o tollerate nelle fasi esecutive.

Il lavoratore assunto e inserito in team deve essere apprezzato per le sue reali qualità e il settore HR deve impegnarsi affinché gli inserimenti e i team building comprendano anche questi aspetti di inclusione. La formazione aziendale può essere indirizzata anche in questo senso.

Avere una cultura aziendale consolidata, aperta alle diversità e ricettiva ai cambiamenti è la vera rivoluzione e soprattutto la vera innovazione.

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