In Italia lo smart working sta attraversando una fase di trasformazione, suscitando opinioni contrastanti sulla sua efficacia e sui benefici per aziende e lavoratori. Ma cosa significa davvero?
Lo smart working e il lavoro agile hanno trasformato il modo di vivere la quotidianità lavorativa, portando maggiore autonomia, attenzione al benessere e innovazione.
Oggi, però, questa modalità si trova al centro di un dibattito: alcune realtà stanno iniziando a ridimensionarne l’utilizzo, altre continuano a considerarlo un pilastro delle proprie politiche organizzative. Il panorama italiano racconta infatti un’evoluzione a velocità diverse, con dati che evidenziano dinamiche contrastanti tra grandi imprese, PMI e pubblica amministrazione.
Lavoro in smart working: il panorama italiano
In Italia, lo smart working sta attraversando una fase di consolidamento dopo gli anni di forte crescita post-pandemia. I dati più recenti elaborati dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, riferiti al 2024, mostrano circa 3 milioni e 555mila lavoratori da remoto, in lieve calo rispetto al 2023 (3 milioni e 585mila, -0,8%).
Il quadro, già allora, non appariva uniforme: la dimensione aziendale giocava un ruolo decisivo. Le grandi imprese e le microimprese, in particolare le startup, continuavano a consolidare l’adozione del lavoro in smart working, mentre le PMI mostravano un progressivo ritorno al lavoro in presenza.
Guardando alle prospettive, l’Osservatorio stimava per il 2025 una ripresa del trend positivo, con un incremento del 5,2% e un numero complessivo di circa 3 milioni e 750mila smart worker. Una previsione che, sulla base dei dati e delle evidenze oggi disponibili, sembra in larga parte confermata: lo smart working si sta mantenendo stabile nelle realtà che lo avevano già integrato, consolidandosi come un modello organizzativo sempre più maturo e strutturato.
Smart working: quando il lavoro da casa viene ridimensionato?
Come dimostrano i dati, negli ultimi mesi, diverse realtà hanno iniziato a ridurre o eliminare lo smart working per i propri dipendenti. Le motivazioni sono diverse e spesso legate a fattori culturali, organizzativi o economici.
Un primo elemento è la necessità di controllo: alcune aziende temono che lavorare in smart working, e quindi la distanza, possa ridurre la produttività o rendere più difficile monitorare l’andamento dei progetti. A questo si aggiunge la convinzione, ancora diffusa, che la collaborazione “dal vivo” favorisca una maggiore efficienza e un miglior senso di appartenenza al team.
Un altro aspetto riguarda le difficoltà organizzative: non tutte le imprese dispongono di infrastrutture digitali adeguate o di processi ben strutturati per coordinare attività a distanza. Questo si nota in particolare nelle PMI, che spesso scelgono di tornare a un modello tradizionale per ridurre complessità.
Infine, in alcuni settori produttivi o legati al contatto diretto con il cliente, la presenza fisica resta imprescindibile. In questi casi, lavorare da casa in smart working può sembrare poco funzionale alle esigenze operative e rischiare di creare squilibri interni tra chi può usufruirne e chi no.
Lavoro da casa: lo smart working rimane un asset fondamentale
e alcune imprese hanno scelto di ridurre il lavoro in smart working, altre continuano a considerarlo un pilastro delle proprie strategie organizzative. Perché?
Le ragioni non sono legate solo al benessere dei dipendenti, ma riguardano anche la capacità dell’azienda di rimanere competitiva in un mercato in rapido cambiamento.
In primo luogo, infatti, lo smart working è ormai un fattore di attrattività. Per i giovani talenti e i professionisti qualificati rappresenta un requisito sempre più rilevante nella scelta del datore di lavoro.
Lo dimostrano i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano: quasi la metà degli smart worker intervistati (46%), infatti, considererebbe svantaggiosa la decisione di tornare in ufficio cinque giorni su cinque, il 18%, invece, pur di mantenere un certo grado di flessibilità, valuterebbe di cambiare lavoro e il 9% si metterebbe sicuramente alla ricerca di un nuovo impiego.
Numeri che evidenziano quanto il lavoro agile non sia più percepito come un benefit accessorio, ma come un elemento strutturale del benessere e della soddisfazione professionale, capace di influenzare le decisioni di carriera e la fidelizzazione dei talenti.
Parallelamente, il lavoro agile migliora il benessere organizzativo. La possibilità di conciliare vita privata e lavoro riduce stress e assenteismo, aumenta la soddisfazione e rafforza il senso di fiducia reciproca tra dipendenti e management. Questi benefici si traducono in una maggiore motivazione e, di conseguenza, in una produttività più elevata.
Un ulteriore aspetto riguarda i vantaggi economici e ambientali. Ridurre gli spazi fisici e le trasferte permette alle imprese di contenere i costi, mentre limitare gli spostamenti quotidiani contribuisce in maniera concreta agli obiettivi di sostenibilità, sempre più centrali nell’agenda delle aziende e delle istituzioni.
Guardando al futuro, molte organizzazioni stanno evolvendo verso modelli ibridi, che integrano il lavoro in presenza con quello da remoto, per bilanciare i vantaggi della flessibilità con la necessità di collaborazione diretta. È un approccio che non solo risponde alle aspettative dei lavoratori, ma che consente anche alle aziende di innovare i propri processi, restare attrattive e costruire un ambiente dinamico e orientato alla crescita.
In questo senso, lo smart working non va più considerato come una soluzione emergenziale post-pandemia, ma come una scelta di lungo periodo, capace di generare valore sia per le imprese che per le persone che ne fanno parte.